Del suo archivio si è detto. Poche carte rinvenute insieme ai documenti del marito Cesare Fasola nella campagna umbra, conservate presso gli eredi di quella famiglia. Ed anche di Cesare si è detto. Chi era, invece, Giusta Nicco? Nata a Torino il 23 febbraio 1901 da Marianna Rosa Cumino e Carlo Nicco, fu iscritta all’anagrafe con il nome di Giustina Maria Rosa. Proveniente da una scuola privata, nel 1907 sostenne l’esame per l’ammissione alla seconda classe presso la Scuola elementare Ernesto Ricardi di Netro della Città di Torino.Gli studi medi superiori li fece, invece, presso il Regio ginnasio Massimo D’Azeglio. Poi si laureò in filosofia, l’8 luglio 1922, e subito dopo si iscrisse al quarto corso presso la stessa Regia università degli studi di Torino per conseguire la seconda laurea, in lettere, che ottenne il 29 giugno 1924. Fu allieva di Adolfo e di Lionello Venturi, di cui si segnala una lettera del 6 dicembre 1946 conservata nel suo archivio.
Nel 1924 avviò la sua carriera da insegnante di storia dell’arte, ma anche di filosofia e pedagogia, in vari istituti torinesi, svolgendo inoltre, dal 1923 al 1933, il ruolo di assistente volontario presso la cattedra di storia dell’arte all’università. Superati due concorsi, nel 1927 divenne insegnante di ruolo nelle scuole medie; forse fu anche a Fossano, in provincia di Cuneo, dove sembra abbia conosciuto Cesare, che sposò nel 1934 a Firenze. Nel 1938 la Reale accademia d’Italia le conferì una «Borsa Volta» pari a duemila lire e nel 1941, nell’adunanza solenne del 21 aprile, le fu assegnato il riconoscimento per le scienze storiche grazie al suo lavoro su Nicola Pisano pubblicato nel 1940 presso l’editore Palombi.
Dal 1933 al 1943 Giusta aveva aderito al Partito nazionale fascista, come risulta dal modulo di iscrizione alla Sezione di Firenze del Partito d’Azione del 1° settembre 1944; anche lei, come il marito, era stata “denunziata e sorvegliata”, aveva svolto attività politica clandestina dopo l’8 settembre 1943 e aveva fatto parte del PdA già dal 1941, come “capo settore del 900”. Era stata segretaria del Comitato di liberazione nazionale di Fiesole e, dal 1943 al 1945, aveva avuto diversi incarichi anche per conto del Comitato toscano; dopo il febbraio 1944 fu membro del Comitato di emergenza a Firenze e, dal 1945 al 1946, commissaria nel Lyceum della città. Dal 1945 al 1947 fece parte della Commissione edilizia del Comune di Firenze; fu anche nel Comitato per la ricerca di alloggi per rifugiati, ricercati ed ebrei e fu vicepresidente dell’Università popolare di Fiesole. Come Cesare, lasciò il PdA, di cui era stata segretaria a Fiesole e membro del comitato consultivo a Firenze, e passò al Partito socialista italiano. Fu riconosciuta come “partigiano combattente”, avendo fatto parte della Divisione Giustizia e libertà di Firenze, e le fu anche concessa la croce al merito di guerra.
Nell’anno accademico 1944-1945, intanto, aveva avuto l’incarico per l’insegnamento di letteratura italiana presso la Facoltà di architettura dell’Università degli studi di Firenze, che lei stessa trasformò nella più specifica cattedra di estetica e trattatistica dell’architettura, che ebbe grande successo tra gli studenti e fu giudicata “efficacissima nell’educazione critica e nella formazione della loro coscienza di futuri architetti”. Dal 28 febbraio 1949 fu nominata, invece, presso l’Università degli studi di Padova, professoressa straordinaria di storia dell’arte medioevale e moderna, passando, in tal modo, nei ruoli universitari. Il suo servizio lo svolse, in realtà, come titolare di questa cattedra, professoressa straordinaria prima e ordinaria poi, nella Facoltà di lettere dell’Università degli studi di Genova, dove insegnò fino alla sua morte. Giusta si dedicò allo studio dell’arte del Medioevo e del Rinascimento pubblicando saggi e monografie di grande interesse, approfondendo, in particolare, con attenzione critica, l’arte protorinascimentale, il Pontormo, Nicola Pisano e il Caravaggio e problemi di estetica e di morale connessi sia all’arte che alla storia, come dimostra anche il carteggio, presente in archivio, con il suo grande maestro Benedetto Croce.
Morì l’8 novembre 1960 nell’abitazione di Fiesole, stroncata da una malattia durata due anni, lavorando fino alla fine, con l’assistenza del marito, alla stesura della voce Jacopo della Quercia per l’«Enciclopedia universale dell’arte». Così la ricordò il suo amico fiorentino Antonio Bueno: “Quando verso la fine del 1958 costituimmo a Firenze quel raggruppamento d’avanguardia (dalla stampa di destra più tardi chiamato, con sciocca ironia, dei «magnifici cinque») il nostro primo pensiero fu di andare a consultare Giusta Nicco Fasola. La sapevamo molto malata - aveva dovuto sospendere le lezioni all’Università di Genova, risultandole troppo faticosi i continui viaggi che queste richiedevano - ma riceveva ancora, nella sua casa di Fiesole, scolari, amici e studiosi. Ricordo la sera fredda e piovosa in cui andammo a trovarla. Essa non si alzò, come soleva fare sempre, quando ci vide arrivare, né ci accompagnò alla fine del colloquio. Cominciò a parlare Ermanno Migliorini. Lei ascoltava i nostri progetti con la sua solita attenzione, con quel ché di teso e di quasi ansioso che aveva negli occhi, che toglieva ogni parvenza malata alla costante dolcezza del viso. Poi a sua volta parlò. E, per quanto il suo discorrere potesse sembrare quello affettuoso e sereno di sempre, c’era un velo nella sua voce che tradiva la presenza di un male profondo e ormai inarrestabile. Usciti da casa sua ci avviammo, in silenzio, verso la macchina. Sapevamo ora che era condannata. Ed eravamo anche consapevoli che perdendo lei perdevamo la più sincera e la più generosa amica che mai avessimo avuta. Giusta Nicco Fasola aveva seguito con appassionato interesse tutte le vicissitudini artistiche del dopoguerra, intervenendo spesso di persona negli scontri fra le varie tendenze, trovandosi sempre schierata dalla parte da lei considerata più viva e più avanzata. Oltre il coraggio, quel che la differenziava dalla maggior parte dei suoi colleghi era la sua semplicità. Mai ci diede l’impressione di volerci impartire una lezione, mai assunse il tono di chi monta in cattedra. Era semplice e naturale con tutti, sempre pronta a dare, se richiesta, un consiglio, ma sempre disposta anche ad ascoltare e a imparare. Cosa ancora più rara, era sempre disposta a rivedere i propri giudizi e, se necessario, a correggerli. (…). La sua eccezionale onestà intellettuale le permise un’indipendenza di giudizio che la portò a dare un notevole contributo al processo di revisione del pensiero crociano, appena iniziato negli anni del dopoguerra. (…). Le sue convinzioni politiche la portavano a ricercare una base sociologica anche in campo artistico, ma procedeva con grande cautela per quella strada, ben sapendo che, per quanto la strada buona fosse necessariamente quella, infinite erano le possibilità di errori. (…). Anche le sue lettere rispecchiano questa sua assoluta semplicità. Nessun calcolo, nessuna degnazione vi traspare. (...) Gli stessi consigli, gli stessi incoraggiamenti, Giusta Nicco Fasola prodigò a tutti noi. Eravamo perciò ben consci, quella sera uscendo da casa sua, che la lotta che stavamo per iniziare e che si annunciava dura e difficile, sarebbe stata ancora più dura e più difficile senza di lei. Nei giorni che precedettero la prima mostra collettiva del nuovo raggruppamento, ricevemmo da lei, tramite Leonardo Ricci, una lettera nella quale essa ci diceva: «desidero che sappiate che sono veramente con voi in questo momento e in quanto seguirà. E mi auguro che sia possibile fra non molto per me riprendere la vita, e sarà allora un conforto ritrovare il piccolo gruppo di amici e compagni di pensiero e di lavoro». Con queste poche patetiche parole, scritte nell’aprile 1959, Giusta Nicco Fasola prendeva in realtà definitivamente commiato da noi: l’augurio in esse contenuto non doveva infatti più avverarsi”.